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Vuoti di caffè


Storia breve inedita per un cortometraggio

La tavola è apparecchiata, due tazzine di caffè bianche con relativi piattini, una zuccheriera antica in porcellana volgare, una tovaglia bianchissima che più bianca non si può. Il rumore dei cucchiaini girati urta nella stanza, un pianterreno buio, una finestra basculante semi aperta che affaccia su una strada chiusa, dove non passa mai nessuno.
– Cosa ci fai qui?
– Coincidevo da queste parti.
– Non è una coincidenza. Sei venuto di proposito.
– Volevo vedere come stavi. Se esistevi ancora e non solo nei miei ricordi.
– Esisto.
– Fai un pessimo caffè.
– Devo cambiare macchinetta.
– Devo andare?
– Non sei davvero qui. Non sei reale. Come io non lo sono per te. Stai solo parlando con la me che continui a mantenere viva nella tua testa.
– A me sembri piuttosto reale.
– Non lo sono.
– Ho fatto a meno di te nella realtà per così tanto tempo che oramai non ho più bisogno che tu esista davvero per mantenerti viva.
– Quindi dovrei essere io ad andarmene, da casa mia?
– Sempre sulla difensiva.
– Sempre lo stesso.
– Pure tu. Sai che tu sei l’unico ricordo di cui riesco distintamente a sentire il profumo? Se chiudo gli occhi e penso ad avvicinarmi alla tua pelle. Sento il tuo profumo. Il tuo sapore. Ho dovuto cancellare una marea di altri ricordi per riuscire a mantenere attivo questo. Occupa un casino di spazio. Non ci credevo. Non ricordo più che scuole ho fatto. O il mio primo bacio. O come si chiamava quel ristorante dove mangiavamo sempre in quella città dove siamo coincisi.
– Non devi sforzarti così tanto. Puoi dimenticarmi. Me ne sono andata io. L’ho fatto per alleggerirti.
– E non ci sei riuscita. Sei partita, ma io riesco a renderti reale senza il tuo permesso.
– Sprechi il tuo tempo.
– Io faccio quello che voglio. Da quanto era che non coincidevamo? Una settimana?
– Un anno.
– Saranno almeno tre anni.
– Forse una ventina di giorni.
– Il tempo non ha mai avuto importanza tra di noi. Lo spazio, sì.
– Io sto bene.
– Anche io sai? Finalmente.
– Perché sei qua?
– Sicuro non per il caffè o per la vivacità dei dialoghi.
– Sei sempre lo stesso stronzo.
– Una settimana. Un anno. Una vita. La prossima. Resterò questo.
– Resterai qua.
– Sono qui perché siamo coincisi. Hai scelto di coincidere. Io non lo volevo. Io non sarei mai tornata e lo sapevi.
– Prendi la tua tazzina.
– Perché?
– Prendila.
Lui rovescia un po’ di caffè nel suo piattino, ci intinge la tazzina, la carica di inchiostro aromatico nero. Alza la tazzina, alza il braccio, guardando lei fissa negli occhi, appoggia la tazzina in un punto casuale della tovaglia bianca, lasciando una macchia circolare.
– Come ti permetti? La tovaglia buona.
– Continua a guardarmi.
– Va bene.
– Intingi la tazzina.
– Va bene.
– Ora appoggiala in un punto casuale della tovaglia. Senza smettere di guardarmi.
Va bene. Fatto.
– Ora guarda, quanti cerchi ci sono sulla tovaglia?
– Uno. Non è possibile.
– Siamo coincisi. Come in passato. Quando abbiamo avuto la nostra prima occasione.
– Questa non è una seconda occasione.
– Io non voglio seconde occasioni con te. Io voglio una serie infinita di prime occasioni. Voglio incontrarti sempre per la prima volta, di nuovo, nello spazio di intersezione tra due cerchi.
– Sei venuto fin qua per sporcarmi la tovaglia e basta?
– Sei bellissima e profumi come sempre. Avevo paura di dimenticarlo.
– Devi farlo, perché non saprei cosa dire, se mai ci rivedessimo.
– Non devi dire nulla, è uno spazio piccolo questo cerchio sulla tovaglia, inutile riempirlo con le parole.
– Allora perché non stai zitto?
– Perché se non ti parlo, smetti di essere reale.
– Non sei veramente qua.
– No. Non sono qua. Sono a casa mia, a migliaia di chilometri da te. Stavo bevendo il caffè, ho appoggiato la tazzina sulla tovaglia lasciando una macchia e mi sono ritrovato qua.
– Stavo bevendo il caffè, non volevo lasciare nessuna macchia, mi hai sfidato a farlo tu.
– Il varco era già aperto.
– Non ho mai smesso di pensarti neanche per un secondo.
– Continuo a smettere di pensarti, un secondo dopo l’altro.
– Intingi la tazzina e facciamolo di nuovo.
– Adesso sei tu a sfidarmi?
– Fallo.
– Io faccio quello che voglio.
– Lo dici sempre e non lo fai mai.
– Hai ragione. Va bene, facciamolo.
Uno alla volta, ripetono il gesto, lasciando nuovamente delle macchie.
– Quante macchie vedi adesso?
– Vedo la tua, qui. Poco distante, a qualche centimetro, c’è la mia. Non siamo coincisi questa volta.
– Allora forse è ora che vada.
– Forse sì.
– Stai tranquilla. Coincideremo ancora. Coincidevamo ancora prima di conoscerci. Coincideremo anche domani. O tra un anno. O tra una settimana. Siamo due cerchi che aspettano solo di sovrapporsi. Non siamo noi a deciderlo. C’è qualcosa più grande che lo fa al posto nostro.
– Sei sempre lo stesso.
– Sto invecchiando, avrò meno capelli e più rughe e più pancia.
– Sei uguale e identico.
– E tu profumi proprio come ti voglio ricordare.
Una ragazza finisce il suo caffè da sola in una stanza a pianterreno vuota. Guarda fuori dalla finestra socchiusa. Dall’altra parte del mondo, un ragazzo finisce il suo caffè da solo in una casa vuota. Lasciando una macchia. Sente un profumo che non appartiene a quella stanza. Sorride.